LDD 06 | parte 2 – Modern Times Ping-pong di Marco Rainò, Matteo Costanzo, Luga Garofalo e Gianfranco Bombaci (CAMPO, Roma)

Matteo Costanzo: La Modernità è un labirinto. Più ci ostiniamo a dichiarare la sua morte e più lei risorge difronte a noi con nuovi significati, sotto nuove vesti. Da una parte cerchiamo forsennatamente di supe­rarla, dall’altra siamo quasi ossessionati da vo­lerne comprendere nei passaggi più nascosti la sua genealogia. Siamo prigionieri e non riusciamo a trovare al­cuna via d’uscita. In questo senso osservando il primo anno di CAMPO, possiamo dire che tutte le nostre attivi­tà – lezioni, mostre e workshop – non hanno fan­no altro che indagare le conseguenze di quella crisi che la modernità ha vissuto dalla seconda metà del ‘900: dalla mostra-workshop “The Su­preme Achievement” che intendeva rileggere il progetto di Superstudio delle “12 città Ideali”, alle lezioni sul lavoro di Costant, Yona Friedman o Cedric Price. Anche se senza un obiettivo di­chiarato dal principio, il programma del primo anno sembra aver lavorato esclusivamente su­gli effetti del crollo del Movimento Moderno.

Marco Rainò:
La Modernità è, più che un periodo storico, una condizione culturale che riguarda, consapevol­mente o meno, chi vive la contemporaneità. È un paradigma, un modo di “sentire” e “percepi­re” che si innesca con automatismi collaudati, oramai silenziosi e quasi impercettibili: appar­teniamo alla Modernità – chi più, chi meno – e la Modernità ci appartiene. È qui, ora, perché ne siamo portatori, a dispet­to della storica, consueta associazione diretta e immediata del termine con i concetti di crisi, crollo, fallimento e fine.
La Modernità è un labirinto; oppure, un atlante di opposti, un inventario di significanti e di si­gnificati che connotano l’ambiente che abitiamo e per il quale continuiamo a cercare strumenti di codifica e di decodifica per imbrigliarne la vo­latilità, assoluta, costante, perenne.
La Modernità è, come scriveva Charles Baude­laire (a cui attribuiamo l’invenzione del termine “Moderno”) in
Le Peintre de la vie moderne, ciò che muta, ciò che si trasforma: “La modernità è al transitorio, il fuggitivo, il contingente, la metà dell’arte, di cui l’altra metà è l’eterno e l’immuta­bile […] perché ogni modernità acquisti il diritto di diventare antichità, occorre che ne sia stata tratta fuori la bellezza misteriosa che vi immet­te, inconsapevole, la vita umana”.
Quanta umanità c’è nella Modernità? Quanta umanità abita l’architettura della Modernità?


Luca Galofaro:
Secondo Antoine Compagnon i cinque tratti ca­ratteristici dell’arte moderna sono identificati in altrettanti momenti cruciali della tradizione mo­derna: la superstizione del nuovo, verso il 1860, tra Baudelaire e Manet; la religione del futuro, che caratterizza l’epoca di Apollinaire, Proust, dei primi quadri astratti di Kandinskij; la mania della teorizzazione che trova la sua espressio­ne nel Manifesto del Surrealismo nel 1924; il ri­chiamo alla cultura di massa, nella Pop Art del dopoguerra; la passione del rinnegamento, nel postmoderno degli anni Ottanta. Lo svolgimen­to di questa “tradizione del nuovo” era basa­ta sull’idea che in arte esistesse un progresso, che l’evoluzione delle forme artistiche avesse un fine. Il Postmoderno rinnega questa tradizione.
Quale condizione viviamo oggi in architettura, nel momento in cui ci rendiamo conto che non esiste un progresso e che il postmoderno ha bloccato ogni tipo di riappropriazione del classico?
Il nuovo in architettura è un paradosso, non riu­sciamo più a definire il futuro, non siamo più in grado di affrontate la teoria, la cultura di massa ha invaso la realtà del quotidiano che si appro­pria delle nostre vite, non abbiamo più nulla da rinnegare nè da sognare.
Per questo penso che la nostra possa definir­si una condizione antimoderna, mi approprio ancora una volta di una definizione di Antoine Compagnon … L’antimoderno è un indignato, uno sfrontato bestemmiatore che dispone di un armamentario retorico tra i più efficaci. Non sono, però, né il solo rancore, né il risenti­mento ad animarlo, ma la Nemesi. Una economia o una teologia della «giustizia poetica» pre­siedono alla sua agitazione. In molti casi, infatti, si tratta di «agitati» in preda a un tenace attivi­smo, da cui derivano salti frequenti dalla critica, e dalla letteratura, alla politica … I veri moderni, sono degli antimoderni, non semplici vittime del moderno o ingenui reazionari …
Superstudio, Costant, Yona Friedman o Cedric Price sono antimoderni incapaci di rinunciare ai sogni si isolano e rappresentano sempre un’al­tra posizione, ed è proprio questo contrappun­to, a fare luce sulla modernità.
Il nostro è un tentativo di guardare il mondo che cambia dal punto di vista di questi antimoderni.

Attraverso l’interpretazione di questi sguardi costruiamo la struttura del nostro pensiero.
Gianfranco Bombaci: Siamo in periodo di sospensione dalla modernità. Per la prima volta da circa un secolo, l’idea di un incessante progresso è entrata in crisi; la crescita non è infinita; la giustizia e l’ordine non sono categorie univoche. Cerchiamo di abituarci invece all’idea di una “descrescita serena”, alla possibilità di fare un passo indietro, cerchiamo di fare i conti con la rinuncia piuttosto che con la pretesa. È una crisi che va ben oltre quella economica, è una crisi di sistema, di valori, di un’intera costruzione sociale basata sul meccanismo lavoro-produzione- consumo. L’ingranaggio dei tempi moderni si è inceppato. Siamo in un limbo, laico, secolarizzato, dove vagano in attesa del loro paradiso i grandi personaggi della storia (appunto i Price, i Friedman, i Costant, Branzi o Superstudio) che non hanno sposato l’ideologia modernista, che ne hanno messo in discussione i principi, evidenziato i limiti, denunciato le distorsioni. Eppure proprio in quei paesi dove la modernizzazione non ha ancora raggiunto il suo completamento sembrano aprirsi margini di sperimentazione. Quella modernità incompiuta di cui parla Branzi che proprio nella sua incompiutezza e debolezza (paradigmatica in Italia o in Grecia) può trovare le ragioni del suo superamento ed evoluzione. Sembrano aprirsi le porte di una ricerca nelle pieghe dell’incertezza, del sospeso, di una direzione verso cui dirigersi.